Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (decreto legislativo 12 gennaio 2019 n. 14), pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 38 del 14 febbraio 2019, disciplina il concordato nella liquidazione giudiziale (nuova formulazione del vecchio concordato fallimentare) agli artt. 240 – 253, che sostituiscono gli articoli 124 – 141 della Legge Fallimentare.
Va sin da subito anticipato che le modifiche apportate nel nuovo impianto normativo sono minime e che non si ravvisano novità di particolare interesse.
Viene confermato anche nel nuovo codice la natura del concordato giudiziale quale accordo sostitutivo della liquidazione e quale modalità di chiusura della procedura di liquidazione giudiziale.
La ragione del mancato intervento rivoluzionario in materia da parte del Legislatore può, a parere di chi scrive, essere giustificato dal fatto che le modifiche già apportate all’istituto con la riforma del 2006 hanno riscosso un discreto successo dimostrandosi funzionali dal che si deduce che si sia deciso di non stravolgere quanto di positivo era stato apportato dai precedenti interventi.
LA PRESENTAZIONE DELLA PROPOSTA
Partendo dal dato normativo, l’art. 240 del nuovo codice dispone che i soggetti legittimati a presentare la proposta sono (i) i creditori; (ii) i terzi; (iii) il debitore, se non dopo il decorso di un anno dalla sentenza che ha dichiarato l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e purché non siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo.
La proposta del debitore è ammissibile solo se prevede l’apporto di risorse che incrementino il valore dell’attivo di almeno il dieci per cento.
Si anticipa sin d’ora che l’apposizione di tale condizione, interessante e innovativo anche dal punto di vista della disciplina generale, costituisce l’unica novità di rilievo rispetto alla disciplina precedente che, per il resto, come si vedrà nel proseguo della presente trattazione viene pedissequamente ricalcata nel nuovo codice.
In linea con quanto già previsto nel nuovo impianto normativo per il concordato liquidatorio, lo scopo dell’introduzione di tale principio è quello di limitare il ricorso a tale strumento ai soli casi in cui vi sia un apprezzabile vantaggio per i creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, anche e soprattutto per evitare che le procedure, già in fase di chiusure, vengano rallentate da proposte meramente dilatorie e prive di utilità per la massa creditoria.
Il Curatore non è legittimato a formulare la proposta, la legge, difatti, non lo annovera tra i soggetti legittimati.
Con riferimento ai tempi di proposizione della domanda, senza indicare una deadline, viene esplicitamente concessa la facoltà di deposito ai soli creditori e ai terzi di avanzare le loro proposte, dopo la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale e anche prima del decreto di esecutorietà dello stato passivo, purché (i) il debitore abbia tenuto la contabilità e (ii) i dati risultanti da questa e le altre notizie disponibili consentano al Curatore di predisporre un elenco provvisorio dei creditori da sottoporre all’approvazione del Giudice Delegato.
Il Codice della crisi riprende pertanto sic et simpliciter l’art. 124 L.F., seppure lo stesso non sia stato esente da critiche nel corso della sua vigente. Le accuse mosse si riferiscono sostanzialmente alla possibilità, nuovamente “concessa” al debitore, di occultare i dati in suo possesso in modo tale da rendere meno appetibile per creditori e terzi la possibilità di avanzare una proposta.
Nel silenzio del Legislatore si presume che possano essere avanzate sino alla chiusura della liquidazione giudiziale.
Al secondo comma, l’art. 240 stabilisce che la proposta può prevedere (a) la suddivisione in classi, secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei; b) trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse, con specifica indicazione delle ragioni dei trattamenti differenziati degli stessi; (c) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo e altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito.
Sono due i criteri di individuazione delle classi: da un lato, la posizione giuridica da individuarsi sulla base della natura del credito; dall’altro l’omogeneità di interessi economici.
Possono poi essere previsti trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diversi, ferma l’osservanza delle regole generali riguardo la preferenza riconosciuta ai privilegiati nonché vi è possibilità di programmare la ristrutturazione dei debiti e soddisfazione dei creditori tramite una serie di strumenti quali la cessione dei beni, l’accollo, o altre operazioni straordinarie.
Si evidenza che la proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali.
La stima dei beni deve essere contenuta in una relazione giurata redatta da un professionista indipendente (art. 2, c. 1, lett. o) D. Lgs 14/2019), iscritti all’albo dei revisori legali, in possesso dei requisiti di cui all’art. 358 e designato dal Tribunale.
Vi è quindi possibilità di non soddisfare integralmente i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca a patto che venga onorato il principio della “collocazione preferenziale” e che non venga in alcun modo alterato l’ordine delle cause legittime di prelazione.
Nella predisposizione della proposta di concordato nella liquidazione giudiziale bisognerà pertanto (i) garantire la soddisfazione non inferiore al ricavato presumibile dalla liquidazione; (ii) rispettare l’ordine delle cause legittime di prelazione.
L’ultimo comma dell’art. 240 CdCI circoscrive l’oggetto della proposta qualora presenta da uno o più creditori ovvero da un terzo.
Essa può prevedere, (i) la cessione, oltre che dei beni compresi nell’attivo della liquidazione giudiziale, (ii) anche delle azioni di pertinenza della massa.
La cessione potrà avvenire pro soluto, con immediata liberazione del debitore e trasferimento in proprietà ai creditori di tutti i beni (mobili e immobili) ovvero pro solendo, cedendo ai creditori la disponibilità dei beni e lasciandoli liberi di agire per la quota parte di credito rimasta insoddisfatta.
La liquidazione dei beni può essere condotta anche da un terzo assuntore il quale si obbliga in propio ad adempiere gli obblighi previsti nella proposta nei confronti dei creditori.
Il vantaggio riservato all’assuntore sarà quello di ottenere quanto residuerà nell’attivo fallimentare a seguito della liquidazione e della conseguente soddisfazione dei creditori concorsuali.
L’accollo del terzo potrà essere liberatorio o cumulativo; in questo secondo caso il debitore rimarrà obbligato in solido nei confronti dei creditori fino alla chiusura della procedura.
Permane altresì la possibilità di formulare una proposta sostenuta dall’apporto di una garanzia reale offerta da parte di un terzo, tramite l’apporto di una garanzia reale o personale, cd. “concordato come garanzia”.
E’ possibile ipotizzare l’ammissibilità di tale ultima menzionata forma anche nella futura vigenza del Codice della crisi atteso che è da un alto l’art. 240, c. 2, consente la ristrutturazione dei debiti in qualsiasi forma e dall’altro al primo comma individua tra i compiti propri del Curatore quello di analizzare le singole garanzie offerte a sostegno della proposta.
La cessione delle azioni di pertinenza della massa dovrà essere autorizzate dal Giudice Delegato, con specifica indicazione dell’oggetto e del fondamento della pretesa. Sostanzialmente potrà trattarsi di cessione di azione revocatoria, di responsabilità o comunque di tutte azioni che spetterebbero alla massa dei creditori, sia a titolo di responsabilità contrattuale che extracontrattuale.
Nell’ultimo capoverso il comma 5 dell’art. 240 chiarisce che il proponente può limitare gli impegni assunti con il concordato ai soli creditori ammessi al passivo, anche provvisoriamente, e a quelli che hanno proposto opposizione allo stato passivo o alla domanda di ammissione tardiva al tempo della proposta. In tale caso, verso gli altri creditori continua a rispondere il debitore, fermo quanto disposto dagli artt. 278 e seguenti in caso di esdebitazione.
L’ESAME DELLA PROPOSTA
All’art. 241 viene descritto l’inter di presentazione della proposta, la quale dovrà essere sottoposta all’attenzione del Giudice Delegato previo ricorso. Il Tribunale procederà quindi a richiedere il parere del Curatore, con specifico riferimento aio presumibili risultati della liquidazione e delle garanzie offerte.
Qualora la proposta venga presentata da un terzo, questa dovrà contenere per specifica indicazione di legge l’indirizzo di posta elettronica al quale ricevere le comunicazioni.
Espletato tale adempimento preliminare, sarà necessario acquisire il parere favorevole dei creditori da considerarsi vincolante atteso che in caso di loro dissenso, la proposta dovrà considerarsi improcedibile.
Il Comitato dei creditori, in quanto organo nominato dal Giudice Delegato, è dotato di funzioni consultive, informative e, in alcuni casi, ispettive delle scritture contabili.
Il parere dei creditori attiene sostanzialmente al merito della proposta, mentre quello del Giudice Delegato riguarda la ritualità e la legittimità.
Si occupa sia di verificare se all’interno della stessa sia stati rispettati i canoni di legge, come, ad esempio il rispetto delle cause legittime di prelazione e per quanto riguarda il parere del Curatore e del Comitato, se possa ritenersi congruo e veritiero sulla base della proposta presentata.
Acquisiti i pareri del Curatore e del Comitato, verificata la ritualità e la legittimità, il Giudice Delegato ordina che il Curatore, tramite posta elettronica certificata, comunichi ai creditori la proposta, informandoli altresì che la mancata risposta equivale a voto favorevole e fissa un termine non inferiore a venti giorni e non superiore a trenta entro il quale i creditori devono far pervenire nella cancelleria del Tribunale eventuali dichiarazioni di dissenso.
L’art. 242 recita che ove le comunicazioni siano dirette ad un numero rilevante di destinatari, il Giudice Delegato può autorizzare il Curatore a dare notizia della proposta di concordato anziché con comunicazioni ai singoli creditori, mediante pubblicazione del testo integrale della medesima su uno o più quotidiani a diffusione nazionale.
Qualora pervengano più proposte o ne giunga una nuova prima della comunicazione ai creditori, il Comitato dei creditori è chiamato a scegliere quale proposta sottoporre al voto del ceto creditorio.
Resta in ogni caso in capo al Giudice Delegato la facoltà, su richiesta del Curatore, di ordinare la comunicazione ai creditori di una o di altre proposte, tra quelle non scelte, ritenute parimenti convenienti, con applicazione dell’art. 140, c. 4.
Qualora la proposta contenga condizioni differenziate per singole classi di creditori, essa (i) deve essere corredata dalla relazione giurata del professionista indipendente; (ii) deve essere sottoposta ai pareri del Curatore e del Comitato dei creditori e (i) deve essere valutata anche dal Tribunale il quale verifica il corretto utilizzo dei criteri di cui all’art. 240, co. 2, lett. a) – ossia che la suddivisione in classi sia avvenuta secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei e lett. b) – ossia che i trattamenti differenziati tra i creditori appartenenti a classi diverse, contengano l’indicazione delle ragioni dei trattamenti differenziati dei medesimi.
L’APPROVAZIONE DELLA PROPOSTA
A mente dell’art. 243 CdCI hanno diritto al voto (i) se la proposta è formulata prima che lo stato passivo diventi esecutivo, i creditori che risultano dall’elenco provvisorio del Curatore approvato dal Giudice Delegato; (ii) se la proposta è formulata dopo l’esecutività dello stato passivo, i creditori ammessi provvisoriamente, i creditori ammessi con riserva, i creditori ammessi nello stato passivo.
I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ancorché la garanzia sia contestata, dei quali la proposta preveda l’integrale pagamento, non hanno diritto al voto se non rinunciano al diritto di prelazione. La rinuncia può essere anche parziale, purché non inferiore alla terza parte dell’intero credito tra capitale e interessi.
Resta fermo il principio in base al quale qualora rinuncino in tutto o in parte alla prelazione, per la parte non coperta dalla garanzia sono assimilati ai creditori chirografari.
Restano esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, il convivente di fatto del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, la società che controlla la società debitrice, le società da questa controllate e quelle sottoposte a comune controllo, nonché i cessionari o aggiudicatari dei lori crediti da meno di un anno prima della domanda di concordato.
La norma infine esclude dal voto e dal computo delle maggiorante “i creditori in conflitto di interessi”.
Sul punto ci si è interrogati su cosa debba intendersi per “creditori in conflitto di interessi”. La dottrina ha chiarito che detto conflitto debba essere valutato con riferimento al soggetto che propone il concordato e quindi, il debitore oppure un terzo.
Quando pertanto si ravvisi un collegamento giuridico-economico e quando sia manifesto che quel voto possa alterare la maggioranza a favore del proponente sarà evidente l’esistenza di un conflitto che porterà all’esclusione dall’esercizio del diritto di voto.
Il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Nel caso di classi di creditori, il concordato è approvato se la maggioranza si verifica nel maggior numero di classi.
Come detto, vige il principio del silenzio assenzio e pertanto i creditori che non fanno pervenire il loro dissenso nel termine fissato dal Giudice Delegato, si considerano consenzienti.
La variazione del numero dei creditori ammessi o dell’ammontare dei singoli crediti, che avvenga per effetto di un provvedimento emesso successivamente alla scadenza del termine fissato dal Giudice Delegato per le votazioni, non influisce sul calcolo della maggioranza.
Nel caso in cui il Giudice Delegato dispone il voto su più proposte ai sensi dell’art. 241, co.2, si considera approvata quella tra esse che ha conseguito il maggior numero di consensi a norma dei commi 1, 2, 3 e, in caso di parità, la proposta presentata per prima.
L’OMOLOGAZIONE
Concluse le votazioni, il Curatore presenta al Giudice Delegato una relazione sul loro esito.
In caso di approvazione, il Giudice dispone che il Curatore ne dia immediata comunicazione a mezzo posta elettronica certificata al proponente, il quale è tenuto a chiedere l’omologazione con ricorso, ai creditori dissenzienti e al debitore.
Il Giudice delegato fissa poi un termine non inferiore a quindici giorni e non superiore a trenta per la proposizione di opposizioni, anche provenienti da qualsiasi altro interessato, e per il deposito da parte del comitato dei creditori di una relazione motivata con parere definitivo. In caso di mancata presentazione da parte del Comitato, è tenuto a provvedere il Curatore nei sette giorni successivi.
In mancanza di opposizioni, il Tribunale, verificata la regolarità della procedura e l’esito della votazione, omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame.
In presenza di opposizioni, il Tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti anche d’ufficio, delegando anche uno dei componenti del collegio.
E’ previsto il cosiddetto “cram down”. Se, difatti, un creditore dissenziente contesta la regolarità della proposta, il Tribunale omologa il concordato se ritiene che il credito può risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili e provvede in tal senso con decreto motivato.
Il decreto di rigetto dell’omologazione sarà reclamabile qualora emesso dal Tribunale anche in assenza di opposizione e altresì potrà essere oggetto di impugnazione qualora il Tribunale non omologhi il concordato in presenza di opposizioni.
Il decreto di omologazione è reclamabile dinanzi alla Corte di Appello che decide in Camera di Consiglio. Il reclamo si propone con ricorso nel termine perentorio di trenta giorni dalla notificazione del decreto.
Tale termine decorre per le parti dalla notifica telematica del provvedimento che si intende impugnare, mentre per gli altri interessati dalla pubblicazione nel Registro delle Imprese.
Il Collegio provvede alla decisione con decreto motivato.
Il decreto diviene efficace decorsi i termini per l’opposizione all’omologazione o per le impugnazioni.
Quando il decreto di omologazione diviene definitivo, il Curatore rende il conto della gestione e il Tribunale dichiara chiusa la procedura di liquidazione giudiziale.
Il concordato una volta omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla sentenza che dichiara l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e per i creditori che non hanno presentato la domanda di ammissione al passivo, ai quali non si estendono le garanzie date nel concordato da terzi.
Resta fermo che i creditori conservano la loro azione per l’intero credito contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso.
L’ESECUZIONE
Dopo la omologazione del concordato il Giudice Delegato, il Curatore e il Comitato dei Creditori ne sorvegliano l’adempimento.
Le somme spettanti ai creditori contestati, condizionali o irreperibili, sono depositate nei modi stabiliti dal Giudice Delegato.
Accertata la completa esecuzione del concordato, il Giudice Delegato ordina (i) lo svincolo delle cauzioni, (ii) la cancellazione delle ipoteche iscritte e (iii) adotta ogni misura idonea per il conseguimento delle finalità del concordato.
LA RISOLUZIONE
A norma dell’art. 250 ciascun creditore può chiedere la risoluzione del concordato (i) se le garanzie promesse non vengano costituite o (ii) se il proponente non adempie regolarmente gli obblighi derivanti dalla proposta omologata.
Il ricorso per la risoluzione deve essere proposto entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto nel concordato.
Non possono richiedere la risoluzione i creditori verso cui il terzo non abbia assunto responsabilità per effetto del concordato e non si applica tale istituto quando gli obblighi derivanti dal concordato sono stati assunti dal proponente o da uno o più creditori con liberazione immediata del debitore.
Si applica le medesime norme previste per l’apertura della liquidazione giudiziale e partecipa al procedimento anche l’eventuale garante.
La sentenza di risoluzione del concordato è provvisoriamente esecutiva e riapre la procedura di liquidazione giudiziale.
Il Tribunale nomina nuovamente il Giudice Delegato ed il Curatore e stabilisce l’udienza per l’esame dello stato passivo non oltre centoventi giorni dal deposito della sentenza ovvero centocinquanta in caso di particolare complessità della procedura. Consente la presentazione delle domande di insinuazione per i creditori e i terzi che vantano diritti reali o personali sulle cose in possesso del debitore nel termine perentorio di trenta giorni prima dell’udienza. I creditori già ammessi al passivo possono chiedere la conferma del provvedimento di ammissione salvo che intendano insinuarsi per ulteriori crediti.
E’ ammesso il reclamo contro la sentenza di risoluzione ai sensi dell’art. 51 CdCI.
L’ANNULLAMENTO
Ai sensi dell’art. 251 Il concordato può essere annullato dal Tribunale su istanza del Curatore o di qualunque creditore, in contraddittorio con il debitore, quando si scopre che è stato dolosamente esagerato il passivo o che è stata sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo.
Il termine per l’esperimento dell’azione è di sei mesi dalla scoperta del dolo e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza fissata per l’ultimo adempimento previsto nel concordato.
Non è ammessa alcuna altra azione di nullità.
In analogia con l’iter previsto in caso di risoluzione, la sentenza che annulla il concordato riapre la procedura di liquidazione giudiziale ed è provvisoriamente esecutiva.
Il Tribunale adotta i provvedimenti di cui all’art. 237, co. 2, CdCI e la sentenza è reclamabile ai sensi dell’art. 51.
EFFETTI DELLA RIAPERTURA DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE
La risoluzione e l’annullamento riaprono la liquidazione giudiziale e si applicano le disposizioni di cui agli artt. 238 e 239 in tema di concorso di nuovi e vecchi creditori e di effetti della riapertura sugli atti pregiudizievoli ai creditori.
I creditori anteriori conservano le garanzie e per le somme ancora ad essi dovute in base al concordato risolto o annullato non sono tenuti a restituire quanto hanno già riscosso.
I creditori concorrono per l’importo del primitivo credito, detratta la parte riscossa in parziale esecuzione del concordato.
A seguito della riapertura della liquidazione, possono essere riproposte le azioni revocatorie già iniziate e interrotte per effetto del concordato.
Il proponente ha facoltà di presentare una nuova proposta di concordato una volta reso esecutivo il nuovo stato passivo. Il nuovo concordato non può essere omologato se prima dell’udienza a ciò destinata non sono state depositate, nei modi stabiliti dal Giudice Delegato, le somme occorrenti per il suo integrale adempimenti o non sono state prestate equivalenti garanzie.
CONCLUSIONI
In conclusione è evidente come nell’impianto del nuovo codice sia stata ricalcata pedissequamente la struttura della vecchia normativa, sia in termini di presentazione ed esame della proposta concordataria, sia in termini di procedimento, esecuzione ed omologazione della procedura sia, infine, in termini di risoluzione ed annullamento.
Resta dunque questo uno strumento residuale, privo dell’autonomia propria del concordato preventivo e utile per definire la liquidazione giudiziale in modo alternativo rispetto alle cause canoniche di cui all’art. 233 CdCI.