Nota a sentenza della Cassazione civile, sez. I, 09 Gennaio 2020, n. 220. Pres. De Chiara. Est. Amatore.
La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla questione della preduducibilità del credito dell’avvocato che abbia predisposto la domanda di concordato preventivo, confermando quanto già statuito in un precedente arresto del 2018 (cfr. Cass. civ., Sez. 1, Ordinanza n. 12017 del 16/05/2018).
È bene premettere che, ai sensi dell’art. 111, comma 2, L.F., i crediti prededucibili sono quelli qualificati come tali da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione delle procedure concorsuali.
In particolare, la prededuzione è il diritto dei creditori della massa di essere soddisfatti, sempre nei limiti della capienza dell’attivo realizzato, con precedenza assoluta rispetto ai creditori concorrenti e prima del riparto.
La vicenda in esame trae origine dalla richiesta di un avvocato – che aveva prestato la propria attività professionale in favore di una società e al fine della predisposizione di un ricorso per l’ammissione alla procedura concordataria – di essere soddisfatto in prededuzione nel fallimento. La richiesta non veniva accolta dal Giudice Delegato e trovava rigetto anche all’esito della opposizione spiegata dal medesimo professionista.
Invero, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere confermava l’ammissione del credito al passivo solo in via privilegiata e non in prededuzione, e ciò sulla base dell’asserita non utilità dell’attività svolta dall’avvocato rispetto agli interessi del ceto creditorio, essendo stata la proposta di concordato dichiarata inammissibile in sede di omologazione.
Il decreto del Tribunale veniva, dunque, impugnato dal professionista con ricorso davanti alla Suprema Corte.
La Corte di Cassazione, rigettando in toto la tesi del Tribunale, ha affermato che “il credito del professionista che abbia predisposto l’attestazione prevista dalla L. Fall., art. 161, comma 3, rientra tra quelli sorti “in funzione” della procedura e, come tale, ai sensi della L. Fall., art. 111, comma 2 – norma che, in relazione al previsto criterio della strumentalità o funzionalità delle attività professionali rispetto alle procedure concorsuali, introduce un’eccezione al principio della “par condicio creditorum” al fine di favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d’impresa – va soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento, senza che, ai fini di tale collocazione, debba essere accertato, con valutazione “ex post“, se la prestazione resa sia stata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti”.
Ciò che rileva è, dunque, l’effettiva funzionalità dell’attività compiuta dall’avvocato, che prescinde da ogni controllo giudiziale sulla utilità o meno della stessa per la massa dei creditori: è funzionale la prestazione che sia strumentale all’accesso alle procedure concorsuali.
Sostengono, infatti, i Giudici di Piazza Cavour che “la verifica del nesso di funzionalità e strumentalità deve essere compiuta controllando se l’attività professionale prestata possa essere ricondotta nell’alveo della procedura concorsuale e delle finalità dalla stessa perseguite secondo un giudizio ex ante, non potendo l’evoluzione fallimentare della vicenda concorsuale, comportare di per sé sola la frustrazione dell’obiettivo della norma, escludere il ricorso all’istituto (cfr. sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 12017 del 16/05/2018, cit. supra)”.
La ratio di questo orientamento giurisprudenziale è da ravvisarsi, secondo la Corte, nel particolare favore che il legislatore ha voluto riconoscere agli strumenti di composizione della crisi attraverso la previsione di cui all’art. 111, comma 2, della L.F.: “questa norma individua un precetto di carattere generale, privo di restrizioni, che, per favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d’impresa, introduce un’eccezione al principio della par condicio creditorum, estendendo in caso di fallimento la preducibilità a tutti i crediti sorti in funzione di precedenti procedure concorsuali”.
Pertanto, l’avvocato che abbia svolto l’attività preparatoria e necessaria a consentire l’accesso a una procedura concorsuale andrà soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento.
Sul punto, si segnala che il nuovo Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, che entrerà in vigore nell’agosto 2020) ha introdotto una previsione che sembra diretta a delineare i contorni dell’art. 111 L.F. (che parla, come già indicato, di “crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali”), vincolando la prededuzione dei crediti professionali sorti in funzione della presentazione della domanda di concordato preventivo (così come quelli sorti in funzione della domanda di omologazione degli ristrutturazione del debito) nei limiti del 75% del credito accertato e alla condizione che la procedura di concordato sia aperta.
Non solo.
È stata radicalmente esclusa la prededucibilità dei crediti professionali “per prestazioni rese su incarico conferito dal debitore durante la procedura di allerta e composizione assistita della crisi a soggetti diversi dall’OCRI” (art. 6, comma 3, del Codice della Crisi d’Impresa).
Ciò sembrerebbe determinare, oltre a una evidente differenza rispetto a quanto previsto per le altre procedure di composizione della crisi, anche una disparità di trattamento tra i professionisti dell’OCRI (“sono prededucibili … i crediti relativi a spese e compensi per le prestazioni rese dall’organismo di composizione della crisi di impresa di cui al capo II del titolo II e dall’organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento”, art. 1, lett. a), D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) e i professionisti nominati dal debitore, i quali verrebbero a trovarsi, in mancanza di prededuzione, in uno stato di incertezza circa il pagamento dei propri crediti.