Successione automatica nei contratti relativi all’azienda ceduta ed onere di comunicazione.
Commento alla ordinanza 29 dicembre 2020, n. 29806 Corte di Cassazione, civ. sez. VI.
La successione nei contratti relativi “all’esercizio dell’azienda che non abbiano carattere personale avviene, a norma dell’art. 2558 c.c., ope legis ed è efficace nei confronti del terzo contraente senza che egli debba accettarla o che sia necessario dargliene comunicazione, costituendo tale comunicazione oggetto di un onere a carico dell’alienante e dell’acquirente dell’azienda finalizzato solo al decorso del termine di tre mesi entro il quale è consentito al terzo di recedere dal contratto”.
INDICE
1. Premessa. 1
2. La forma nel contratto di trasferimento di azienda. 2
3. I contratti ceduti. 3
4. La Comunicazione al contraente ceduto. 4
5. Il recesso e la giusta causa. 5
6. La responsabilità dell’alienante. 6
7. La successione nei rapporti processuali. 6
9. Considerazioni conclusive. 7
1. Premessa.
Con l’ordinanza in commento, n. 29806 del 29.12.2020, la VI sezione civile della Cassazione si è pronunciata su una questione particolarmente interessante nei suoi aspetti pratici, sancendo che la comunicazione prevista dall’art. 2558 c.c. non sia necessaria per far assumere efficacia all’atto di trasferimento ma solo ai fini della decorrenza del termine di tre mesi per la comunicazione del recesso per giusta causa.
Nello specifico, la questione oggetto di pronuncia scaturiva dalla richiesta di una società di leasing di insinuarsi al passivo di un fallimento (e per questo a pronunciarsi è la Sesta e non la Terza sezione della Cassazione) per il credito connesso a tutti i ratei del detto leasing, scaduti e a scadere.
Il Tribunale di Napoli osservava che la società di leasing avesse diritto di insinuarsi solo per i ratei del corrispettivo della locazione finanziaria che erano maturati in epoca anteriore alla cessione dell’azienda: infatti, il contratto di leasing, in quanto inerente al compendio aziendale trasferito con contratto del 14 dicembre 2015, era proseguito con il cessionario e la società cedente fallita era chiamata a rispondere solo dei debiti sorti in epoca anteriore alla cessione, a norma dell’art. 2560, comma 1, c.c..
La Cassazione conferma la decisione del Tribunale partenopeo, stabilendo che gli effetti del contratto trasferito si fossero prodotti ipso jure, a prescindere dall’accettazione e senza bisogno di comunicazione, sancendo che la comunicazione prevista dall’art. 2558 c.c. ha effetto unicamente ai fini della decorrenza del termine di recesso di tre mesi.
2. La forma nel contratto di trasferimento di azienda.
Sul trasferimento di azienda nella sistematica del codice civile, si rinvia al recente ed interessante articolo dell’avv. Rossana Mininno su questa rivista (Sistema Società del 7 gennaio 2020).
Ai fini che qui interessano, si rammenta che l’articolo 2556 del codice civile prevede che, per potere essere iscritta nel registro delle imprese, la cessione d’azienda debba essere formalizzata con la sottoscrizione di un contratto redatto in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, salva l’osservanza delle forme richieste dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto.
Ne consegue che i contratti che abbiano ad oggetto la cessione d’azienda richiedano la forma scritta ad probationem, mentre se l’azienda oggetto di trasferimento è composta da beni immobili, beni mobili registrati, marchi o brevetti, sia richiesta la forma scritta ad substantiam.
Il requisito della forma scritta “ad probationem”, pur incontrando i limiti previsti dall’art. 2725 c.c. in materia di prova testimoniale, comporta che la sua mancanza non infici la validità del contratto sottostante.
In ogni caso, la pressi vuole che gli atti di trasferimento d’azienda, avvengano, anche per la espressa previsione del secondo comma dell’art. 2556 c.c., con la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata.
Pertanto, l’atto di cessione è un atto per cui l’ordinamento prevede che venga data pubblicità-notizia.
3. I contratti ceduti.
L’art. 2558 c.c. stabilisce: “Se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale. Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante. Le stesse disposizioni si applicano anche nei confronti dell’usufruttuario e dell’affittuario per la durata dell’usufrutto e dell’affitto”.
Sono ceduti quindi tutti i contratti che non abbiano carattere personale e che non siano caratterizzati dal cosiddetto intuitu personae, nei quali la prestazione del contraente sia oggettivamente (come ad esempio nei contratti d’opera intellettuale) o soggettivamente (dove rileva l’identità del contraente) infungibile.
Anche le autorizzazioni amministrative hanno carattere personale e non possono essere trasmesse per effetto di un semplice accordo tra privati. Conseguentemente, l’eventuale cessione dell’autorizzazione, essendo contraria a norme imperative, è colpita da nullità ex art. 1418 c.c.. L’autorizzazione della pubblica amministrazione non è elemento costitutivo dell’azienda, ma rappresenta un requisito necessario al legittimo esercizio dell’attività economica cui è preordinata l’azienda pertanto le autorizzazioni non sono oggetto del contratto di cessione d’azienda (Corte d’Appello di Roma, Sezione 3 Civile, Sentenza del 5 aprile 2011 n. 1473; Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile, Sentenza del 15 settembre 1986 n. 5600).
Non sono oggetto di cessione i contratti per i quali le parti abbiano espressamente escluso l’effetto successorio, purché non si tratti di contratti essenziali per l’esercizio del complesso aziendale.
Infine, il trasferimento non si verifica, per i contratti che sono stati eseguiti ed hanno perciò esaurito i propri effetti (Cass. 2961/2013, 840/2012, 21229/2006, 16724/2003, 5636/1996).
Atteso che l’azienda, per sua stessa definizione, si sostanzia nel complesso funzionale di beni e rapporti organizzati per l’esercizio della impresa, ne è una conseguenza necessaria che la cessione non possa avere ad oggetto i fatti esauriti e irrilevanti nell’ottica imprenditoriale e che, laddove eseguiti da una parte, diano vita unicamente a posizioni creditorie o debitorie la cui regolamentazione è disciplinata dall’art. 2560 cc.
L’acquirente, inoltre, non subentra automaticamente ex art. 2558 c.c., nelle obbligazioni risarcitorie per danni cagionati a terzi dal cedente durante l’adempimento di obbligazioni inerenti l’esercizio dell’azienda ceduta, applicandosi anche in questo caso il diverso regime fissato dall’art. 2560, secondo comma, c.c., per effetto del quale dei debiti suddetti (in sé soli considerati), risponde l’acquirente dell’azienda solo allorché essi risultino dai libri contabili obbligatori (Così Cass. 11318/2004 Trib. Torino, 15.10.2013; Trib. Milano, 3.12.2014).
4. La Comunicazione al contraente ceduto.
E’ interessante domandarsi se, ad integrare la comunicazione al contraente ceduto, sia sufficiente la pubblicità notizia, propria della pubblicazione camerale, e se tale comunicazione abbia effetti costitutivi della cessione nei suoi confronti.
Come si è detto, l’ordinanza in commento, stabilisce che la comunicazione al contraente ceduto abbia effetto unicamente al fine del decorso del termine di tre mesi previsto per il recesso, ne consegue che il contratto si perfezioni, ad ogni effetto, sin dal momento della sua conclusione anche nei confronti del terzo contraente.
L’orientamento degli ermellini sul punto è costante ed è confortato da numerose pronunce intervenute nel corso degli anni e promanate anche da sezioni diverse (Corte di cassazione, sezione III civile, sentenza 30 marzo 2001 n. 4728; Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 7 dicembre 2005 n. 27011; Corte di Cassazione, sezione II civile, ordinanza 3 gennaio 2020 n. 15).
Sulla forma della comunicazione invece non vi è una specifica previsione legislativa e la Giurisprudenza non ci conforta con particolari pronunce chiarificatrici.
La questione interessa principalmente l’onere probatorio successivo.
Sul punto, una sentenza del Tribunale di Monza, sezione prima Civile del 5 giugno 2017 n. 1773, stabilisce che l’onere della prova della “conoscenza del trasferimento della azienda … resta a carico di chi invoca gli effetti della cessione”.
Il Giudice perviene a tale interessante e condivisibile conclusione partendo però dall’errato principio, sostenuto anche dalla ricorrente nel giudizio che ha determinato la pronuncia in commento, secondo cui la comunicazione della cessione del contratto al terzo contraente incida sull’efficacia del contratto di cessione nei confronti del contraente ceduto.
A parere del Tribunale di Monza la cessione non è opponibile fino a quando la comunicazione non abbia luogo: “la successione nei contratti aziendali ha efficacia, “inter partes”, al momento stesso del trasferimento dell’azienda, mentre nei confronti del contraente ceduto essa ha effetto dal momento in cui quest’ultimo abbia avuto notizia del trasferimento stesso”.
Tale isolato orientamento, peraltro pervenuto in tema di successione di azienda bancaria, non tiene conto della natura dell’atto di cessione e dello scopo che il legislatore ha voluto attribuire a tale fattispecie distinguendola in maniera evidente dalle norme relative alla disciplina generale sulle successione nei contratti.
La voluntas legis deriva dalla particolare natura che il legislatore ha voluto prevedere nell’art. 2558 c.c.
Tale disciplina, a carattere speciale e derogatorio rispetto a quella generale, trova ragione nello scopo di garantire il mantenimento della funzionalità economica dell’azienda e di favorirne la sua circolazione quale cardine ordinamentale di una politica economica che favorisce il mantenimento degli asset produttivi e la loro trasferibilità.
Il trasferimento quindi di tutti i contratti “commerciali” (n.d.r. o per meglio dire non avente carattere personale ovvero espressamente esclusi, per come abbiamo visto in precedenza) costituisce un “effetto naturale del contratto di trasferimento” d’azienda.
Pertanto, gli effetti del contratto trasferito si producono “ipso iure”, obbligando il terzo, a prescindere dall’accettazione e senza bisogno di comunicazione.
La comunicazione si configura quindi come onere posto a carico delle parti del contratto di trasferimento dell’azienda, e dei soggetti ad esse equiparati, finalizzato solo al decorso del termine di tre mesi previsto per il recesso del terzo (Corte di cassazione, sezione III civile, sentenza 7 dicembre 2005 n. 27011)
Sul punto, interessante la pronuncia della Corte di Cassazione, sezione III civile, n. 4728 del 30 marzo 2001 che stabilisce: “Il subentrare dell’acquirente, dell’usufruttuario o affittuario dell’azienda nei contratti stipulati dal dante causa per l’esercizio dell’azienda, e che non abbiano carattere personale, integra un’ipotesi di successione ope legis, in deroga agli articoli 1406 e 1407 del codice civile che disciplinano la cessione del contratto, in quanto il subentro si attua indipendentemente dal consenso o dall’autorizzazione preventiva del contraente ceduto”.
Pertanto, la comunicazione al terzo, attiene unicamente ai fini della decorrenza del termine di recesso ed quindi, anche ai fini della comunicazione di cui all’art. 2558 c.c., secondo comma, può esser sufficiente la pubblicità notizia della comunicazione camerale.
In ogni caso, a fini prudenziali, certamente l’acquirente dell’azienda può procedere con la comunicazione prevista dall’art. 2558 c.c. per tutti i contraenti ceduti ma è sicuramente opportuno che nel contratto preveda dei meccanismi di tutela, laddove i contraenti ceduti esercitino “legittimamente” il diritto di recesso.
5. Il recesso e la giusta causa.
Proprio in ragione della natura e dello scopo che il legislatore ha voluto prevedere per il trasferimento d’azienda, anche il diritto di recesso ha subito una limitazione.
E’ necessario a questo punto comprendere cosa si intenda per “giusta causa” che legittima l’esercizio del diritto di recesso.
Per giusta causa si devono considerare tutti quei mutamenti delle circostanze rilevanti nella valutazione nei contratti corrispettivi in corso di esecuzione, quali ad esempio quelli:
relativi all’organizzazione aziendale, che possano influire sulla qualità dei prodotti;
relativi alla capacità organizzativa, che possano influire sulla puntualità, correttezza e precisione nella prestazione;
relativi alla affidabilità economica e patrimoniale della parte acquirente;
relativi ad eventuali garanzie circa il regolare adempimento delle obbligazioni contratte.
Sicuramente, quelle che attengono alla posizione economica e patrimoniale della parte acquirente sono quelle che generano maggiori problemi nella prassi commerciale, anche in ragione dello stringente termine di esercizio del recesso (Cass. Civ., 12 ottobre 2007, n. 21445).
6. La responsabilità dell’alienante.
Altro tema che fa da corollario a quanto sin qui esposto ed alle condivise conclusioni cui perviene la sentenza in commento e che potrebbe ingenerare confusione ad una lettura non attenta dell’art. 2558 c.c. è quello relativo alla responsabilità dell’alienante.
Su tale tema la giurisprudenza ha ben precisato che essa sussiste solo nei confronti della parte acquirente, e non verso il contraente ceduto, al quale la legge accorda quale unica forma di tutela appunto il diritto di recesso (Cass. Civ. 15 settembre 2009, n. 19870).
Da qui la precisazione fornita nel precedente paragrafo 4 dove si suggerisce, quale buona prassi, di prevedere sempre clausole che riducano il prezzo di cessione in caso di legittimo esercizio del diritto di recesso.
La questione è stata oggetto di una limitata elaborazione giurisprudenziale in quanto appare pacifico che non sussista uno specifico diritto risarcitorio del terzo rispetto all’esercizio del diritto di recesso.
Bisogna ricordare che le diverse pronunce sul tema (in larga parte già citate nel presente articolo) sono volte a rappresentare ed interpretare la norma non in favore del terzo contraente, ma per salvaguardare l’unità del complesso aziendale e la sua circolazione, garantendo un effetto di successione ope legis.
Ciò in conformità ad un impianto generale del Codice Civile che, anche in altre ipotesi di recesso (ex artt. 1722 n. 4, 1833, 1918 e 2610), non prevede diritti risarcitori o indennitari a favore del recedente.
Pertanto, la responsabilità dell’alienante opera unicamente in favore dell’acquirente che subisca le conseguenze economiche sfavorevoli del legittimo recesso del terzo, derivanti dalla caducazione di un rapporto contrattuale, già rientrante nel patrimonio dell’azienda ceduta, e sulla quale aveva fatto affidamento.
7. La successione nei rapporti processuali.
Ulteriore aspetto di rilievo riguarda la successione nei rapporti processuali.
La cessione di azienda o ramo di azienda configura una ipotesi di successione a titolo particolare nel rapporto obbligatorio con la conseguente applicazione dell’art. 111 c.p.c., (vedi, tra le altre Cass. n. 17959 del 2016 e Cass. n. 18258 del 2014).
Ne consegue che trovi applicazione l’art. 111 cod. proc. civ. in forza del quale “Se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie”, fatto salvo che “La sentenza pronunciata contro questi ultimi spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui…”.
Pertanto non vi è automatica successione nelle cause pendenti che restano in corso tra le parti originarie.
9. Considerazioni conclusive.
Possiamo concludere affermando che l’orientamento della pronuncia in commento è costante ed è confortato da diverse pronunce intervenute nel corso degli anni e promananti da sezioni diverse della Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 30 marzo 2001 n. 4728; Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 7 dicembre 2005 n. 27011; Corte di Cassazione, sezione II civile, ordinanza 3 gennaio 2020 n. 15)
Il contratto di cessione d’azienda è, pertanto, valido ed efficace, sin al momento della sua conclusione, anche nei confronti del terzo contraente ceduto.
La comunicazione dell’avvenuta cessione non ha quindi alcuna efficacia costitutiva bensì solo ai fini del decorso del termine di tre mesi per esercitare il diritto di recesso che in ogni caso deve essere accompagnato da una effettiva giusta causa, proprio al fine di garantire l’unitarietà e la trasferibilità dell’azienda intesa quale unicum economico e giuridico meritevole di propria e specifica tutela.
Avv. Paolo Borrelli